Proprio poco prima della Giornata mondiale degli oceani, è iniziata subito con degli avvistamenti particolarissimi la stagione di campo 2024 del progetto Cetacean Sanctuary Research (CSR); tra questi una balenottera comune (Balaenoptera physalus) a cui i ricercatori sono particolarmente affezionati, chiamata “Propeller” e riconoscibile a colpo d’occhio dalla vistosa cicatrice sul dorso.
Gli esperti dell’Istituto Tethys, la onlus dedicata allo studio e alla tutela dei cetacei e dell’ambiente marino, la conoscono fin dal 1998 e la sua storia è emblematica: i profondi segni che porta non possono che far pensare all’elica di una nave, che quasi sicuramente ha investito l’animale anni fa.
Quella delle collisioni con le grandi navi, sempre più numerose e veloci, è una delle minacce più gravi alla sopravvivenza dei grandi mammiferi marini.
La buona notizia è che Propeller, a differenza di molte altre, è sopravvissuta.
Non solo: l’anno scorso era stata avvistata dall’imbarcazione di Golfo Paradiso Whale Watching di Imperia addirittura con un piccolo al suo fianco, un incontro piuttosto raro nei nostri mari.
All’occhio esperto dei ricercatori a bordo Propeller è apparsa, per la verità, piuttosto magra; “anche se non possiamo escludere nulla, speriamo che questo non significhi che è in difficoltà, ma soltanto che siamo all’inizio della stagione alimentare”, spiega Maddalena Jahoda, ricercatrice e divulgatrice scientifica di Tethys.
Le balenottere infatti vengono in estate nel Santuario Pelagos, la grande area marina protetta che comprende anche il mar Ligure, proprio per fare provvista di cibo dopo, probabilmente, un periodo di alimentazione ridotta.
È proprio qui, nel cuore di questo tratto di mare considerato un “hot spot” del Mediterraneo per la sua particolare ricchezza soprattutto, ma non solo, di balene e delfini, che si trova l’area di studio del Cetacean Sanctuary Research, uno dei progetti di ricerca più lunghi del suo genere.
Con base da sempre a Portosole Sanremo, raccoglie infatti dati scientifici fin dal 1990, con lo scopo di conoscere e tutelare balene e delfini e il loro ambiente.
La formula per sostenere queste attività è quella della citizen science: ogni settimana una decina di partecipanti del pubblico accompagna i ricercatori in una meravigliosa avventura “da biologi marini”.
Una delle capacità più sorprendenti che gli esperti trasmettono ai partecipanti è saper riconoscere i singoli animali.
Due balenottere possono differire dalle tacche sulla pinna dorsale, così come due capodogli (Physeter macrocephalus), l’altra specie di grande cetaceo dei nostri mari, hanno forme diverse della coda.
E proprio questo ha portato anche un’altra sorpresa nella stessa giornata.
Il primo capodoglio della stagione era “Monet”, un giovane maschio che deve il nome al famoso pittore vissuto per qualche tempo a Bordighera; le macchie biancastre che ha sul corpo sono simili alle pennellate degli impressionisti.
“Distinguere i singoli animali non è fine a se stesso, ma uno strumento potentissimo nelle mani dei ricercatori” spiega Sabina Airoldi, Direttore del Cetacean Sanctuary Research. “Permette infatti non solo di conoscere le storie degli individui, ma anche, per esempio, di ricostruirne gli spostamenti.”
Per questo sono fondamentali le immagini ad alta risoluzione, che gli esperti di Tethys realizzano grazie alla sofisticata attrezzatura sponsorizzata da Canon.
È di questi giorni il riconoscimento di un’altra vecchia conoscenza, il capodoglio “Carli”, così chiamato in onore del noto omonimo produttore di olio, da anni altro importante sponsor del progetto.
“Quando ho visto il video del collega Eduard Degollada”, continua Sabina Airoldi, “ho capito al volo che il capodoglio avvistato al largo di Barcellona in Spagna altri non era che uno dei ‘nostri’ animali, catalogato fin dal 2017, a conferma degli ampi spostamenti di cui sono capaci questi cetacei.”
Ma le sorprese per l’equipaggio della barca da ricerca, la “Pelagos” di Flash Vela d’Altura, non erano finite in questa prima giornata ‘piena’ della stagione: li aspettava anche un gruppo di delfini comuni – il cui nome protrebbe trarre in inganno.
“Comuni non lo sono affatto, ma al contrario sono una delle specie oggi più rare nel Mediterraneo e da alcuni anni stiamo indagando sulla possibile presenza di ibridi fra delfino comune e stenella striata all’interno del Santuario”, puntualizza Caterina Lanfredi, Vicedirettore Cetacean Sanctuary Research.
Un altro incontro particolare, sicuramente un buon auspicio per la stagione di ricerca e citizen science, che continuerà fino a ottobre.