I Misteri di … TOYS STORY 4

“C’erano una volta venticinque soldati di stagno, tutti fratelli tra loro perché erano nati da un vecchio cucchiaio di stagno.
Tenevano il fucile in mano, e lo sguardo fisso in avanti, nella bella uniforme rossa e blu.
A sera inoltrata i giocattoli cominciarono a divertirsi: si scambiavano visite ballavano, giocavano alla guerra.”

Questo l’inizio della favola di Hans Christian Andersen dal titolo “Il soldatino di stagno” una delle prime storie in cui i giocattoli si animano come creature viventi e vivono una vita parallela. Soldatini di stagno che ricordano i soldatini di plastica del primo film di Toy Story, un gruppo di soldati scelti che si recano in missione per vedere il nuovo regalo del compleanno di Andy.
Toy Story è una serie di film a cartoni animati i cui personaggi sono così empatici e coinvolgenti d’essere arrivati al quarto episodio, in proiezione in questi giorni nelle sale cinematografiche.
Come non amare il cowboy Woody, il cosmonauta Buzz Lightyear, il dinosauro, il bassotto, Mr. Potato, Barbie, Ken e tutte le loro avventure accanto ad Andy, un bambino che nel corso del tempo diventa grande.
Come non commuoverci di fronte al distacco che noi stessi abbiamo tutti avuto in modo sofferto con i nostri giocattoli.
Come non avere nostalgia di quando giocavamo con loro e con i nostri pupazzi “preferiti” avvolti dal dubbio se davvero, mentre dormivamo, non prendevano realmente vita.
Giocattoli che si muovono, bambole che iniziano a parlare autonomamente, sono davvero solo fantasie?
Beh, dobbiamo ammettere di avere avuto tutti un po’ di dubbi, chi non ha mai osservato la propria bambola con timore, investiti dal pensiero “mi sta guardando o è una mia suggestione?”.
Bambole, non semplici oggetti vuoti ma contenitori di anime addormentate, con il loro sguardo apparentemente fisso nel vuoto. Esistono da sempre, ritrovate perlopiù nelle tombe antiche di bambini, così da poter giocare con loro anche nell’aldilà.
Idoletti egizi, greci, romani adagiati accanto alla salma anche di uomini adulti, nella convinzione che si animassero per servire il re o il faraone.
Nell’Antico  Egitto si chiamavano “ushabti” erano bamboline inanimate per i vivi, ma in grado di animarsi nell’aldilà, se il defunto li chiamava e gli chiedeva di svolgere il lavoro per lui, tra cui la mietitura dei campi. Sì, perché il Faraone che non era abituato a lavorare e dunque avrebbe certamente avuto difficoltà a farlo anche nell’oltretomba, si riforniva di diversi ushabti che, senza
protestare, sarebbero andati al posto suo.
Ushabti letteralmente significa “colui che risponde”, non molto diverso dal concetto dei nostri nuovi automi moderni pronti a rispondere con un “al suo servizio, signore”, creati per svolgere attività domestiche, lavori nei campi, servi tecnologici in un futuro non troppo lontano. Automi che altro non sono che bambole moderne che si muovono, pensano con intelligenza artificiale ed hanno una vita propria.
Esattamente come i giocattoli di Toy Story, profezia di un mondo futuristico che potrebbe offrire proprio pupazzi come questi. Dopotutto quello delle bambole è un mondo parallelo, una perfetta copia del nostro in ogni dettaglio, dalle fini cuciture degli abiti agli occhi di vetro, vivi e lucenti come i nostri: siamo forse noi stessi dei pupazzi che appartengono a un Dio che si sta divertendo a giocare con noi?
Dopotutto nel primo Toy Story, Buzz Lightyear non sa di essere un giocattolo e vive nella convinzione di essere un uomo dello spazio.
Viviamo dunque anche noi nella falsa consapevolezza di essere uomini? (Isabella Dalla Vecchia)

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